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CORRIERE DELLA SERA
3 marzo 2006


ROBERTO CASTELLI
Ministro della Giustizia
Con grande rammarico devo dire che non mi fido di Armando Spataro.
Non mi fido ciecamente dell’imparzialità di questo magistrato che si è sempre schierato a sinistra. Prima o poi la risposta arriverà, c’è di mezzo l’immagine del Paese, ma questo magari non interessa a certi pm



ARMANDO SPATARO
Procuratore di Milano
Il ministro sbaglia. Può anche rifiutare o ritardare una richiesta, ma ha l’obbligo di dirlo. La sua è una decisione politica e lui ha il dovere e il diritto di valutare tutti gli aspetti del caso, tra cui immagino vi sia la tutela della sovranità violata dello Stato italiano. Sono passati quattro mesi e ci troviamo a dover fare delle scelte processuali




Imam rapito dalla Cia, Castelli contro i pm
«Pressioni indebite. Non mi fido di Spataro, è schierato a sinistra». La replica: «Sbaglia»

MILANO - «Pressioni indebite della magistratura negli affari dello Stato». Parola di guardasigilli. E tra la procura milanese e Roberto Castelli la tensione sale. Per il ministro della Giustizia la lettera sulla questione Abu Omar inviata a Roma mercoledì scorso dal procuratore capo di Milano, Manlio Minale, e dal procuratore generale, Mario Blandini, altro non è che un «attacco sferrato per difendere prerogative di magistrati che non tengono conto degli interessi dello Stato».
Nella missiva, una ventina di righe in tutto, Minale e Blandini sollecitavano il ministro della Giustizia a prendere una decisione in merito agli ordini di cattura internazionali (richiesti quattro mesi orsono) da spiccare oltre i confini dell’Europa nei confronti dei ventidue agenti della Cia accusati di avere rapito, il 17 febbraio del 2003, l’ex imam della moschea milanese di via Quaranta, Abu Omar. A rischio, hanno scritto i due procuratori, il destino stesso del processo già in odore di scadenza dei termini.
Un «sollecito» in qualche modo ufficializzato anche attraverso un’audizione a Bruxelles del procuratore aggiunto Armando Spataro, titolare dell’inchiesta sul sequestro in territorio nazionale italiano e, oggi, bersaglio privilegiato del ministro Roberto Castelli. «Con rammarico devo dire che non mi fido di lui - dichiara il ministro dai microfoni di Radio Padania - non mi fido ciecamente dell’imparzialità di questo magistrato che si è sempre schierato a sinistra. E la sinistra, si sa, è antiamericana. Ricordo che i magistrati - ha aggiunto Castelli - sono soggetti alla legge, e la legge dà al ministro la facoltà di decidere tenendo conto degli interessi dello Stato. Meglio che i magistrati si astengano dall’attaccare continuamente gli altri poteri dello Stato. Quale immagine diamo? Che lasciamo liberi i terroristi che vengono costantemente assolti e ci occupiamo solo di arrestare i cacciatori di terroristi? Prima o poi la risposta arriverà, ma c’è di mezzo l’immagine del Paese - sferza Castelli - questo magari non interessa a certi pm, ma al ministro sì».
Secca la replica di Armando Spataro, in accordo con l’aggiunto Ferdinando Pomarici: «Il ministro sbaglia. Può anche rifiutare o ritardare una richiesta, ma ha l’obbligo di dirlo. La sua è una decisione politica e lui ha certamente il dovere e il diritto di valutare tutti gli aspetti del caso, tra cui immagino vi sia la tutela della sovranità violata dello Stato italiano. Noi però non chiediamo o l’una o l’altra cosa, chiediamo solo una risposta. Sono passati oramai quattro mesi e ci troviamo a dovere fare i conti con scelte processuali».
Passa un’ora e Castelli da Roma bacchetta nuovamente «il pm di sinistra Spataro». «Non è abilitato a parlare con me - dice - ha scavalcato i superiori in maniera poco rispettosa». E il magistrato? Dopo un sorrisino e un respiro lungo lungo, replica così: «Battute già sentite, ancora una volta scelgo il silenzio».
Biagio Marsiglia



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Sigle fantasma e voli misteriosi
Le missioni segrete degli 007 Usa

Julio Golf Oscar, Jgo. Una sigla appartenuta ad una decrepita compagnia del Canada e comparsa come identificativo di misteriosi aerei in servizio con il Pentagono e la Cia. Uno di questi velivoli, un veloce Learjet 35, ha fatto un viaggio tra Tuzla (Bosnia) e Aviano nel dicembre 2004. Ma durante il volo l’aereo è «cambiato» di tipo. Ed è cambiata anche la natura del volo: prima «umanitario», poi «di Stato», infine «protetto» ossia diplomatico. È probabile che il jet fosse impegnato in qualche missione per conto del Dipartimento della Difesa statunitense. Secondo il Sunday Times sotto la sigla Jgo si sono mossi altri «mezzi»: un C 130 (trasporto militare) e la versione per operazioni speciali. Per il giornale inglese il fenomeno delle false sigle è molto più ampio. Una traccia sospetta l’abbiamo individuata anche noi lo scorso marzo, quando i caccia greci hanno intercettato su Cipro un aereo andato fuori rotta «per problemi alla radio». Inizialmente i portavoce greci avevano parlato di un Learjet americano decollato dall’Italia (Brindisi), ma in un secondo momento l’aereo in questione era diventato un mono-motore pilotato da un californiano impegnato nel giro del mondo. In realtà, in base ad alcuni accertamenti, non escludiamo che il Learjet possa essersi celato dietro il volo del piccolo aereo. Dunque stesso codice (lo omettiamo volutamente), stessa rotta (Brindisi-Cipro-Oriente), mezzo diverso.
I due episodi dimostrano quanto sia difficile per chi indaga scoprire i passaggi degli aerei coinvolti in azioni di spionaggio o nelle extraordinary renditions , ossia il trasferimento di estremisti e terroristi su jet Cia. Le difficoltà aumentano poi se i governi non hanno alcuna intenzione di collaborare con i magistrati. A parte l’indagine sul sequestro a Milano dell’imam Abu Omar (poi trasportato dagli 007 americani in una prigione egiziana), pochi Paesi hanno la volontà di vederci chiaro. Proprio ieri la magistratura francese ha aperto un fascicolo sullo scalo a Le Bourget (Parigi), il 20 luglio 2005, di un Gulfstream III proveniente da Oslo, con la sigla N50BH: è probabile che si trattasse di un jet Cia, già segnalato a Guantanamo. Nella vicina Germania, sia pure con grande ritardo, i giudici stanno lavorando sul rapimento (31 dicembre 2003) del cittadino tedesco di origini arabe Khaled El Masri. Arrestato in Macedonia, è stato successivamente detenuto dall’intelligence Usa in una prigione di massima sicurezza di Kabul. Il suo caso è venuto alla luce perché l’uomo è stato poi rilasciato. Nelle ultime settimane gli inquirenti stanno verificando un episodio: El Masri afferma di essere stato interrogato, durante la prigionia, da un agente segreto tedesco. Se la circostanza fosse confermata sarebbe una ulteriore prova della collaborazione con gli Usa, malgrado gli aperti dissidi politici.
Una cooperazione che, dopo l’11 settembre, si è estesa di fatto all’intero continente europeo. Lo dimostrano i rilevamenti dei presunti voli della Cia emersi nel corso del 2005: 200 presenze nella sola Gran Bretagna, scali in Spagna, Belgio, Polonia, Romania, Macedonia, Kosovo, Bosnia, Italia, Irlanda, Svezia. Anzi, secondo l’organizzazione Human Right Watch, alcuni stati (Romania, Polonia, Kosovo) avrebbero messo a disposizione degli Usa basi o prigioni per ospitare terroristi di Al Qaeda. Il Consiglio europeo ha condotto una lunga indagine e ha denunciato l’atteggiamento reticente di alcuni governi. Nella lista dei cattivi sono finiti Italia, Polonia, Macedonia e Bosnia, accusati di aver fornito «informazioni inadeguate o incomplete». Per il segretario dell’istituzione l’Europa si è trasformata in un terreno di caccia per gli agenti segreti americani. E potremmo dire che gli europei, con una buona dose di ipocrisia, li hanno lasciati cacciare, ben contenti che fossero gli Usa a togliere di mezzo potenziali terroristi. Alla base dello scambio un patto sancito dalla creazione nel Vecchio Continente di una rete di centri coordinati dal Ctc, il centro anti-terrorismo della Cia.
Guido Olimpio


INES TABUSSO