Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
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FESTIVAL DI TRIESTE

Ultimo Aggiornamento: 05/02/2010 11:50
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21/01/2010 09:58

inizia stasera con HONEYMOONS di Goran Paskalievic, il film che loulou non è riuscita a vedere a Venezia;

basta una immagine per capire che è un film serbo:

ops, troppo grande, meglio mettere il link:


www.alpeadriacinema.it/
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22/01/2010 08:41

ah che invidia! quanto sei vicino e invece io tutte le mattine guardo il mare in lontananza e sono rare quelle in cui ne scorgo le cime delle montagne...


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24/01/2010 16:09

HONEYMOONS di Goran Paskalievic






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26/01/2010 14:59

La polvere del tempo di Theo Angelopoulos


Il regista A. racconta la Storia del ventesimo secolo attraverso le storie e la vita di Eleni (Irene Jacob), di suo figlio (Willem Dafoe), della sua nipotina e degli uomini, Jacob (Bruno Ganz) e Spyros (Michel Piccoli), che sono stati i suoi amanti nel corso della sua vita avventurosa, ma che raramente hanno convissuto con lei, esule prima in Russia, poi mandata in Siberia, dove si è separata dal figlioletto di 3 anni; lo ritroverà dopo molti anni.
Il film inizia al tempo della morte di Stalin (1953) col primo ritrovamento di Eleni da parte di Jacob, avvenuto in Russia; poi i due si separano, lei viene mandata in Siberia a scontare, si ritroveranno nel corso della vita in varie parti del mondo, in tempi diversi le vite dei protagonisti si incroceranno e si intersecheranno, mentre la Storia dalla morte di Stalin, alla caduta del muro di Berlino, fino all’avvento del nuovo millennio fa il suo corso; i personaggi ne sono in balia, come pure sono in balia del tempo, di cui si perde la cognizione mano a mano che il film procede, come pure si perde la cognizione della trama del film, che perde progressivamente di importanza ed evapora, procede a salti, avanti ed indietro nel tempo, di qua e di là nello spazio, l’intero pianeta diventa il set del film, ci si trova immersi e sballottati in un percorso di distacchi e di ritrovamenti, di amori morti e risorti ed alla fine della apnea emerge la memoria di un secolo passato, la disillusione di chi si era illuso, la malinconia per ciò che poteva essere e non è stato, resta solo la polvere del tempo.
Film impegnativo, ci voleva un A. al massimo della forma per realizzare il compito che si è dato, quello della recita per intenderci, ma umanamente non è sempre possibile lavorare ai propri massimi livelli; a tratti gli viene meno l’ispirazione e rimedia col mestiere, attingendo al proprio repertorio pregresso, dando però l’impressione del già visto; il guaio è che i film lenti non possono concedersi passaggi a vuoto perchè si notano subito ed il film ne soffre.
Nel suo complesso il film è molto bello e ricco di pagine di grande cinema; ci ritroviamo il fascino immutato delle sequenze lunghe di Angelopoulos, dei suoi personalissimi cromatismi, dei movimenti delle masse, della sua liturgia cinematografica, elementi che bastano ed avanzano per la sufficienza piena del film, non ostante i suoi presunti difetti, che vanno valutati con cautela, perché in genere ad una seconda visone i film di Angelopoulos crescono ed i difetti ne diventano una cifra stilistica.



Non nego che sia stata per me una grande emozione aver incontrato uno dei più grandi del cinema di tutti i tempi.
Ha detto che il suo prossimo film, terzo della trilogia è in post produzione e si intitola “L’altro mare”
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29/01/2010 13:27

Poliziotto, aggettivo

Metto il titolo tradotto in italiano, (“Politist, Adj.” in originale), nella speranza che un giorno possa essere visto anche in Italia, questo formidabile film di Corneliu Porumboiu, un capolavoro degno del cane randagio di Kurosawa.
Purtroppo il pubblico è stato tiepidissimo e posso capirlo, perché non è un film immediato, è un film del giorno dopo.
Corneliu Porumboiu è grande e la sua facilità di fare cinema è disarmante; il suo cinema si distingue per il linguaggio scarno ed essenziale con cui centra il tema e lo sviluppa, per come inquadra le situazioni ed i personaggi, per come sa essere appassionato e o allo stesso tempo umoristico, secondo la situazione; il titolo un po’ strambo del film si riferisce dalla scena madre, quella del dizionario; un dizionario che, secondo una malintesa concezione di modernità pragmatica, dovrebbe sostituirsi alla coscienza dell’uomo.
La coscienza del poliziotto (e dell’uomo in generale direi) è il cuore del film, i silenzi, la diligenza, la abnegazione ed anche la testardaggine del protagonista Cristi, che non è un eroe ma solo un bravo ragazzo che non vuol perdere l’innocenza, ne sono la testimonianza.

Indubbiamente questo film strameritava di vincere a Cannes il premio principale del concorso “un certain regard”, ma non è il caso di stracciarsi le vesti se non gli è stato assegnato, dato che il vincitore, il greco Kynodontas, è un film molto valido.

Con l’occasione segnalo un altro ottimo film rumeno che ho visto:
Cea mai fericita fata din lume (la ragazza più felice del mondo)Mdi Radu Jude
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31/01/2010 13:05

Viaggio a Citera


Storia e politica, utopia e disillusione, emigrazione e viaggio sono i temi prevalenti del cinema di Angelopoulos, che più volte si cela dietro il signor A., alter ego in molti suoi film.
Lo spirito odisseaco di A. si riconduce alla tradizione preomerica, ripresa da Dante, di un Ulisse che parte, piuttosto che alla tradizione omerica, ripresa da Joice e da Kubrick, di un Ulisse che torna. L’Ulisse di A. è un Ulisse che va alla ricerca della utopia e della illusione.
Il tempo è un altro elemento filmico ricorrente ed è visto da A. come relativizzazione di un eterno presente, “domani è l’eternità ed un giorno”, secondo la tesi di Heidegger che il passato e il futuro non esistono.
L’utopia di A. non solo filmica ma anche della vita vorrebbe un mondo migliore e socialista; da qui l’esilio dopo il colpo di stato dei colonnelli e poi la disillusione perché secondo A. quello che era possibile il secolo scorso oggi non lo è più.
Viaggio a Citera (film del 1984, inedito in Italia) è una mirabile sintesi di questi elementi esistenziali e poetici, difficili da trasporre in un film che sia un film bello e fruibile allo stesso tempo, nemmeno il genio di A. ci riesce sempre compiutamente.
È un grande film, forse un capolavoro, che racconta la storia di un comunista che torna a Citera, dove ha la casa e dove vivono la moglie ed il figlio che lo attendono, dopo 30 anni di esilio in Russia, con un permesso di soggiorno provvisorio; ma la popolazione locale lo rifiuta ed è obbligato a ripartire su una zattera lasciata in mare aperto alla deriva, stavolta con la moglie. Una metafora poetica e riflessiva con molto non detto.
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02/02/2010 11:50

Re: HONEYMOONS di Goran Paskalievic
non si vede niente! o almeno io non vedo...


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02/02/2010 13:34

Honeymoons



Di Goran Paskaljevic è un film che parla di emigrazione, di una doppia coppia, una albanese, l’altra serba, che non si conoscono e non si incontrano mai nel film, che cercano la felicità altrove; in Italia gli albanesi ed in Austria i serbi; sono emigranti regolari con visto e permesso di soggiorno, ma questo non impedisce che rimangano bloccati alla alle rispettive frontiere, trattati come criminali, derubati e divisi, rinchiusi in gattabuia senza alcuna assistenza legale; questo è la civiltà cui agogna chi ci guarda dalla televisione satellitare.
Il film è molto bello, non mancano di certo il folklore albanese e la follia serba, vale la pena di emigrare?

Coproduzione serbo albanese, un tassello che si aggiunge alle già molte coproduzione serbo bosniache croate eccetera tra le repubbliche della Jugoslava; non ci metto un ex davanti perché cinematograficamente esiste ancora; ho chiesto a Goran: “ma dovevate farvi la guerra per diventare amici?”
Goran è un serbo che di più non si può, gli piace bere, divertirsi, cazzeggiare, è molto simpatico e parla perfettamente italiano.

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03/02/2010 10:23

Kynodontas


Un gran bel film, un film tosto, un vero pugno nello stomaco; degno vincitore di “un certain regard” 2009, non ostante la concorrenza di un capolavoro come “poliziotto, aggettivo” di Corneliu Porumboiu; è l’opera prima prodotta e diretta dal giovane regista greco Yorgos Lanthimos, che si discosta per contenuto e per stile dagli altri film greci recenti o meno recenti, che sono più o meno debitori del loro maestro Angelopoulos.
Trattasi di una black commedy quanto mai bizzarra e grottesca, cha fa ridere sì, ma solo fino ad un certo punto e che inquieta invece molto, nel profondo dell’animo, più per quanto sotteso che per quello lascia vedere sullo schermo.
Più che essere una metafora è un film che suggerisce metafore, tante metafore, così limpide ed evidenti che non obbligano lo spettatore a spremersi le meningi ed a distrarsi.
È la storia di una famiglia, padre madre e tre figli adolescenti, due femmine ed un maschio, che da sempre vivono rinchiusi in una suntuosa villa con giardino, circondata da una staccionata invalicabile che non lascia vedere il mondo esterno, dalla quale può uscirne solo il padre, che fuori di casa si presenta come una persona normale, un agiato borghese titolare di una fabbrica di medie dimensioni; credo che sia il primo caso di una famiglia – stato in cui vigono le leggi volute dal padre, che ovviamente detiene tutti i poteri, batte moneta, dei non meglio identificati adesivi che si vincono ai giochi organizzati in famiglia, che non fa mancare nulla ai suoi, dalla istruzione, al divertimento, alle pratiche sportive, fino ad un controllato soddisfacimento dei bisogni sessuali, per i quali ricorre a Cristina, una guardia giurata di fiducia che è l’unico contatto del mondo esterno con la famiglia. Tutta l’informazione e la conoscenza relativa al mondo esterno è blindata e controllata e ne viene somministrata una realtà manipolata; tutto ciò che è scomodo viene distorto o censurato; si sa solo quello che il padre concede di sapere, nelle forme e nei modi da lui voluti, con la sua affabilità, col suo sorriso stampato e falso, (chissà perché mi ricorda qualcuno), che è solo una maschera che cela violenza e cattiveria. Non ci viene spiegato il perché di questa situazione né come sia nata, pare che sia così da sempre, che il mondo sia stato creato così; sarebbe riduttivo interpretare il film come satira sulla famiglia borghese, il film ha un respiro molto più ampio.
La vita si svolge con apparente normalità, pur nella goffaggine dei comportamenti e nella assurdità della situazione, dentro la placenta che secondo il padre dovrebbe proteggere i suoi cari dai batteri del male; ma poiché probabilmente ne siamo portatori fin dalla nascita, qualcosa di sgradito succede ugualmente; il tutto inizia dalla questione più delicata, la sessualità, che istiga in una delle figlie il desiderio di assaporare la conoscenza e produce la prima crepa; la repressione del padre è violenta e scomposta, ma inutile, ormai la voglia di conoscere si è insinuata e non può più essere repressa.
L’intero film si svolge nella villa e nel parco annesso; dopo un inizio in cui ci si rende conto della situazione, ci si chiede come si potrà proseguire senza uscire da lì, ma una solida sceneggiatura consente lo sviluppo di una trama che procede per gags successive; non ci sono fasi di stanca o passaggi a vuoto, invenzioni sempre originali rinnovano l’interesse; lo stile scarno, la macchina da presa poco mobile, il grande schermo, il campo piatto e bidimensionale, la luminosità intensa conferiscono un senso di irrealtà e di straniamento; gli attori sono bravi, l’imitazione che una delle figlie fa di Rocky Balboa, visto in una videocassetta, è da antologia.

Non so se il film sarà distribuito in Italia ma merita di essere segnalato e se capita l’occasione consiglio di non lasciarselo sfuggire.

PS: Kynodontas significa dente canino e si trova sul web anche col titolo di Dogtooth.


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05/02/2010 11:50

Re: Kynodontas
Consigli conservati, grazie! [SM=g7076]
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A volte ci può essere poca distanza fisica tra due persone, ma la distanza emotiva può essere enorme.
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