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L'uomo che verrà e il boicottaggio culturale

Ultimo Aggiornamento: 14/03/2010 22:45
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Post: 657
Sesso: Femminile
24/01/2010 19:50

L'intenso film su Marzabotto non potrà arrivare alla gente perchè la maggior parte delle città hanno sale in cui è stato rifiutato...è un classico caso di boicottaggio culturale, un po' per l'argomento, un po' per la scelta stilistica e coraggiosa ( credo)...ora devo trovare il modo di vederlo.

Cinema
Già premiato a Roma, Giorgio Diritti offre un esempio (raro) di nuovo stile e di non ostentata classicità. Il cast è eccezionale
L'uomo che verrà
Il diario della strage scritto dagli umili: capolavoro al cinema


Una scena del film
Inondati da rievocazioni scolastiche o ricostruzioni troppo schematiche della Seconda guerra mondiale e dei suoi episodi, dove il cinema viene piegato alle ambizioni propagandistiche di questo o di quello, la visione di L’uomo che verrà offre lo stesso sollievo di una boccata di aria fresca a chi si sente soffocare. Rigoroso, emozionante, onesto, appassionato, il film di Diritti sa coniugare lucidità morale e lettura storica con uno stile insolito per il cinema italiano, di elegante e non ostentata classicità. Da vero (e grande) regista.
Al Festival di Roma aveva vinto il Gran premio della Giuria e quello del Pubblico (con qualche scorno per chi non l’aveva selezionato a Venezia) e oggi inaugura —speriamo beneaugurante—la distribuzione della rinnovata Mikado, passata di mano (da DeAgostini a Tatò) nell’autunno scorso.

Una scena del film
Il film, ambientato nelle colline bolognesi vicino a Marzabotto, racconta la dura vita quotidiana della famiglia contadina Palmieri, dall’inverno 1943 all’autunno 1944: i nazisti presidiano con determinazione la Linea gotica, i partigiani si impegnano nell’infastidire e sabotare le azioni degli occupanti e i civili cercano di campare alla meno peggio, subendo le intimidazioni degli uni e le richieste degli altri, mentre la vita non può che continuare il suo percorso: Lena (Sansa) porta in grembo l’«uomo che verrà» a cui fa riferimento il titolo, la cognata Beniamina (Rohrwacher) spera di migliorare la sua condizione andando a servire a Bologna, il marito Armando (Casadio) si dibatte tra i vincoli della mezzadria e le imposizione fasciste, tutti, insieme ai contadini che abitano nella stessa cascina, condividendo la dura vita quotidiana e quel che resta della voglia di trovarsi insieme a ballare o chiacchierare.

L’esordiente Greta Zuccheri Montanari: nel film è una bambina di otto anni, diventata muta dopo la morte di un fratellino.
A guidare lo spettatore c’è lo sguardo curioso di Martina (Zuccheri Montanari), la figlia di Lena e Armando, diventata muta dopo la morte di un precedente fratellino e trepidante custode di quello in arrivo: grazie a lei conosciamo i comportamenti delle truppe naziste, le fughe precipitose nei nascondigli tra i boschi, le azioni dei partigiani, le morti e le sconfitte, ma soprattutto l’inevitabile intrusione della guerra, e della sua violenza, nella vita di tutti i giorni.
Il fratellino nascerà nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 e la Storia ci ha già detto che cosa succederà negli stessi giorni: in nome di un’agghiacciante esigenza di «bonifica territoriale», i nazisti rastrellano più di ottocento persone, soprattutto donne, bambini e anziani, che uccidono senza nemmeno la giustificazione di una rappresaglia. Non anticipiano il destino dei personaggi che abbiamo conosciuto e che il film mostra con documentata partecipazione ma sarebbe ingiusto ridurre L’uomo che verrà a una, pur corretta, ricostruzione della strage di Monte Sole (Marzabotto è solo uno dei comuni della zona, quello più conosciuto).
Diritti guarda oltre, alla sofferenza e alla disperazione di tutti coloro che il cinismo del linguaggio definisce come «danni collaterali», al dolore e alla tragedia di quegli inermi che pagano sulla propria pelle la follia della guerra. Per farlo non amplifica le occasioni di spettacolo o di suspense. Non gli interessa - giustamente - farci palpitare per chi si salva perché dietro a ogni vita risparmiata ce ne sono troppe distrutte. Piuttosto vuole farci riflettere sulle assurdità delle guerre e delle violenze. E non tanto in nome di un pacifismo razionale ma per un’umanissima empatia con le vittime. A quegli uomini, quelle donne e quei bambini che vanno incontro alla morte ci siamo affezionati vedendo la grama vita quotidiana, sentendo il loro odore di terra o di stalla e soffrendo la loro stessa povertà, ascoltando la durezza di una lingua che ha le stesse asprezze dei volti (per questo era necessario far parlare tutti in dialetto; per questo non disturbano i necessari sottotitoli).
Diritti filma tutto con uno stile che sarebbe piaciuto a Bazin e a chi come lui rivendicava al cinema la capacità di restituire sullo schermo la forza della realtà: gira dal vero, mescola volti di professionisti (Sansa, Rohrwacher, Casadio: tutti eccellenti) a altri presi sul posto (la piccola Greta Zuccheri Montanari ma anche i tanti vecchi dei luoghi, alcuni, da giovani, testimoni del vero eccidio nazista), evita luoghi comuni e cadute retoriche. E riesce a regalarci una delle più belle prove di un cinema finalmente necessario, di altissimo rigore morale e insieme di appassionante e coinvolgente forza civile. Un capolavoro.( Merenghetti, Il corriere della sera)
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La vera autenticità non sta nell'essere come si è ma riuscire ad assomigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi. (P.Almodovar)
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Post: 1.032
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30/01/2010 15:52

L’uomo che verrà



Sembra un paradosso ma non lo è: il film è credibile, efficace ed emozionante fino a quando racconta fatti e storie frutto di immaginazione e di fantasia; diventa meno credibile e pregnante quando racconta storie e fatti realmente accaduti, vale a dire la strage; proprio la strage non mi ha né commosso, né emozionato, né indignato; non so perché, posso solo fare delle ipotesi.
Mi sembra che Diritti non abbia sbagliato nulla, a parte un episodio che eliminerei, e che non si sia lasciato prendere la mano.
Può essere che avevo già cognizione dei fatti e ne avevo già metabolizzato le emozioni, può essere che scene analoghe le ho viste anche di recente in altri film, può essere che la morte al cinema è diventata uno spettacolo che non impressiona più, tanto sappiamo che allo stop del regista i cadaveri si rialzano e stanno benissimo; alla luce di ciò il cinema sembra diventato un mezzo inadeguato a rappresentare questo tipo di storie la cui valenza propria trascende la finzione filmica, se non ricorrendo o a delle ellissi che lasciano trafilare il minimo necessario per la comprensione o al condimento con una certa dose di retorica.
La bambina testimone degli eventi ci può stare, ma è un già visto; avrei preferito una istanza narrante neutra. Il neonato ci può stare, come simbolo di speranza e di rinascita, ma chiamarlo l’uomo che verrà (e se fosse stato femminuccia?) mi è sembrato volerlo caricare di troppe aspettative e responsabilità, tanto più che oggi avrebbe 66 anni e mi pare che non sia ancora arrivato nessuno.
Già nel vento fa il suo giro la parte finale non mi era piaciuta, in questo film Diritti si riconferma. Beninteso che si riconferma anche come grande regista, perché “l’uomo che verrà” è un capolavoro zoppo, ma un comunque un capolavoro del cinema contemporaneo, per come rappresenta il tempo di guerra e la vita delle comunità montane sulla linea gotica.
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Post: 1.032
Sesso: Maschile
06/02/2010 10:33

Un po’ per alcuni dubbi che mi erano rimasti, un po’ per alcune stroncature che ho letto in giro, ho voluto rivederlo subito e chiudere il conto in sospeso.
È un grande film, non ho alcun dubbio, forse un capolavoro, lo voto da 7,5 in su, ma al voto ci penserò con calma in seguito; qualcuna tra le osservazioni che ho fatto nel precedente intervento ci può stare, ma è assolutamente marginale e non scalfisce il valore del film, che alla seconda visione cresce.
Va rispettata la scelta di Diritti di rappresentare la tragedia con lo stile del neorealismo olmiano, uno stile inusuale per film di questo tipo di film, che comporta la rinuncia all’epica ed alla retorica, elementi che quando a tratti riaffiorano sembrano stonature; che poi i film di Olmi siano favole è una favola, il cinema di Olmi è spesso dramma e talvolta tragedia (vedi i recuperanti). Il film fa vedere la vita dei contadini di montagna in un periodo in cui la guerra è una avversità in più da superare e la resistenza è un dovere civico ed allo stesso tempo una necessità.
Riguardo le critiche, direi che il film non eccede in retorica, semmai ne è in difetto. Riguardo agli stereotipi mi chiedo quale regista avrebbe rinunciato a far tornare il neonato adulto a rivedere i luoghi, accompagnato naturalmente dalla sorella guarita nel frattempo dal mutismo; quale regista avrebbe rinunciato ad un arrivano i nostri, gli alleati, preceduti e fiancheggiati da atti di eroismo dei partigiani.
Italiani brava gente, buonismo? Non direi; dalla cattiveria intrinseca dei bambini a quella degli anziani, dall’opportunismo dei giovani e degli adulti, inclini anche alla prostituzione ed alla pedofilia, di brava gente non ne ho vista molta; certo che tra gli italiani c’è anche brava gente, ci mancherebbe, ma direi che il film più che altro mostra che gli italiani sanno fare di necessità virtù.
Nessuna concessione viene fatta ai partigiani, difendevano la loro terra e nulla più; nessun ideale più alto viene loro riconosciuto e su questo mi dissocio.
La scelta narrativa di affidare il racconto all’unica superstite è molto classica, una scelta che fu anche di Omero, di Melville (lo scrittore), di Clint Eastwood e di molti altri, non vedo perché se fatta da un regista italiano debba provocare dei mal di pancia.
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Post: 657
Sesso: Femminile
06/02/2010 20:38

.
Una scelta che fu de "La notte di S.Lorenzo"....ricordi?

Io dovrò aspettare l'11 marzo, unica sera di proiezione del film, ma tu lo hai visto 2 volte....quindi alzi la media...bravo!!! [SM=g7059]
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Post: 1.032
Sesso: Maschile
07/02/2010 09:26

per alcuni aspetti lo ricorda, ma la notte di san Lorenzo è un film lirico che finisce con la liberazione e la pioggia; Diritti non concede nulla di tutto questo;
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Post: 657
Sesso: Femminile
12/03/2010 23:33

Finalmente è arrivato, e quando arriva, siccome è per una sera, va visto, subito. Per affrontare poi una notte in cui le immagini si intersecano fra il sonno e il sogno, e al risveglio avere la sensazione di una jam session cinematografica.

"L'uomo che verrà" racconta la storia di una famiglia contadina in Emilia Romagna nel delicato momento della resistenza che culmina con l'eccidio di Marzabotto.
L'occhio non si abitua mai a certe sequenze, e finchè non si abitua c'è speranza.
L'occhio che invece ci accompagna lungo tutta la pellicola è l'occhio della piccola Martina di nove anni che ha perso la parola in seguito alla morte del fratellino neonato. Il suo sguardo è attento, sensibile e partecipe, uno sguardo attivo che fa seguire alla percezione visiva gesti e azioni. Ed è attraverso il suo occhio che la macchina da presa acquisisce un cuore. Nel casolare della famiglia protagonista si avvicendano nazisti e partigiani, si intrufolano la vita del piccolo borgo ma anche le fila spesso taglienti della storia. Attraverso un climax di drammaticità il finale sarà comunque sereno e denso di speranza, malgrado tutto.
La fotografia è veramente eccellente: il contrasto dei pochi colori con la luce particolare dell'ambientazione esterna ci regala davvero dei fotogrammi ben costruiti. Anche la regia regala piccole perle: come la sequenza dei bambini con le mani alzate e le spalle al muro, il fiato sospeso per qualche secondo per poi scoprire che stavano giocando. Intensi sono i primi piani e piani sequenza utilizzati con maestria narrativa.
Il film è privo di retorica, è semplice eppure "vero e sentito", tagliente quanto basta. Mi ha colpito molto la capacità del regista di far emergere anche marginalmente temi importanti di quel momento difficile: il contrasto politico interno alle brigate, il ruolo dei sacerdoti nei piccoli centri, la follia omicida dei nazisti.
Tutto ciò mi ha commosso, fra rabbia e indignazione e la necessità urgente della memoria.
C'è poi un substrato sottile che trovo di grande rilievo. Dopo 5 anni di frequentazioni assidue in Emilia Romagna con tentativi di capire la natura di gente così vicina a noi eppure per certe cose molto diverse, posso dire che il regista ha saputo amorevolmente stigmatizzare l'identità di questo luogo e dei suoi abitanti. Ci sono "cifre" connotative che ricorrono e che ancor oggi contraddistinguono questo popolo: le donne intorno al tavolo a far la sfoglia, i giovani a ballare, i contadini a ammazzare il maiale e poi il rapporto complesso con la chiesa, fra credo e superstizione. Emblematica la scena al riguardo in cui il contadino insieme ai suoi morti seppellisce anche le statuette del presepe. Nello scorrere questa forte identità che emerge dal film accentuata dall'uso strumentale ma anche poetico del dialetto, ho pensato a un altro film, sul tema della resistenza nella cultura contadina ed è " La notte di San Lorenzo", riferito all'eccidio di San Miniato (Pisa).
In quest'ultimo film la protagonista è ancora una bambina e la sua famiglia contadina, ma nella storia dei Taviani la resistenza diviene quasi un mito, il racconto è altamente poetico e la stessa bambina dinanzi alla morte del partigiano sovrappone la morte dell'eroe Ettore, mentre "l'uomo che verrà" è più diretto: altri anni, altre cifre di regia, due film che probabilmente si completano nel dare forza alla memoria. Sarebbe interessante una filmografia su questo filone, cominciando da Piasà e passando per l'intenso e efficace "Tutti a casa". Perchè non si dimentiche e perchè ciò non accada mai più. E catarticamente terminare con..."Ingloriosus Bastards" [SM=g7075]
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La vera autenticità non sta nell'essere come si è ma riuscire ad assomigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi. (P.Almodovar)
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Post: 1.032
Sesso: Maschile
14/03/2010 22:45

Re: .
erikaluna, 06/02/2010 20.38:

Io dovrò aspettare l'11 marzo, unica sera di proiezione del film, ma tu lo hai visto 2 volte....quindi alzi la media...bravo!!! [SM=g7059]




certo quello che dici ... mantieni! [SM=g7069]


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